Fish Island (2015) Painting by Andrea Ciclamino

A 19 anni, fui colto da una forte suggestione nell'osservare uno scatto del fotografo svedese, Erik Johansonn, intitolato proprio “Fish Island”, da cui decisi di reinterpretarlo in chiave pittorica. Il soggetto era un sarago di dimensioni colossali che teneva sul dorso un’isola, o meglio, essa era ormai parte integrante della struttura corporea del surreale pesce e ne diventava un peso, che, tuttavia, era mantenuto in superficie.
Nel mio immaginario quel pesce era condannato a convivere con quel peso. Pensavo che esso potesse rappresentare il peso del peccato, della nostra debolezza, dei nostri limiti e delle nostre paure, proprio in quell'età in cui la curiosità verso la vita ci spinge alla scoperta. Nonostante il peso insostenibile, la sua grandezza consisteva nella vocazione di imparare a convivere con quel peso e nell’essere sfiorato da una grazia che lo manteneva in superficie, senza inabissarsi. Quell'isola, difatti, era visibile agli occhi di tutti senza sparire nel nulla.
L’Errore, “frutto della debolezza umana”, insito nella nostra più profonda indole, ci ha segnati alla nascita e difficilmente riusciremo a espiarlo, almeno nella vita terrena. Allo stesso modo, nell’Eden, l’albero della conoscenza del bene e del male è il simbolo dell’uomo che, come l’Ulisse dantesco, vuole travalicare i confini della coscienza e della Natura.
Adamo ed Eva, Ulisse, hanno disobbedito in nome della conoscenza per fare esperienza della vita.
Interpreto tale curiosità come un biglietto di sola andata verso la coscienza, che è un dono ma anche una condanna.
Da qui inizia il viaggio alla ricerca della Meraviglia.

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